Ouija

Questa storia risale a molti anni fa. All’epoca dei fatti, 1987 o giù di lì, io e lei vivevamo a Venezia nel pensionato per studentesse delle Madri Canossiane di Dorsoduro perché mamma era morta e papà navigava. Il convento, che esiste tutt’oggi, è ospitato nella struttura di un ex monastero del Settecento e si trova in fondamenta delle Romite.
Erano le settimane prima di Natale. Durante quei giorni una ragazza più grande, che oggi è un’affermata cantante lirica, aveva portato, ovviamente di nascosto, una specie di tavola ouija.
La tavola ouija è uno strumento che si usa nelle sedute spiritiche per aiutare le presenze a comunicare con i vivi tramite le lettere dell’alfabeto. Il medium fa la domanda e lo spirito compone la risposta muovendo l’indicatore sulle lettere.

Alice Sbrana, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons

Il nostro dispositivo era più artigianale, con le lettere scritte a mano su un cartone spesso e un piattino da caffè al posto dell’indicatore.
Siccome di sera era vietato andare nelle camere altrui organizzammo la seduta di pomeriggio, mentre la direttrice faceva il solito pisolino. Quell’anno dormivo in una stanza da tre persone perciò decidemmo di trovarci nella singola della cantante, l’ultima in fondo alla gamba corta della “L”, cioè del secondo corridoio dell’ala occupata dal pensionato.


Mentre stavo andando all’appuntamento, girato l’angolo alla fine del primo corridoio, vidi che davanti a me camminava una suora magra e altissima. Non avevo idea di chi potesse essere, non di certo la Madre direttrice, che era bassa e con la tendenza a rivolgere le punte dei piedi verso l’interno, e nemmeno la sua aiutante, una donna corpulenta, dal passo pesante.
La suora era così rapida che sembrava scivolare sul pavimento e solo quando fu giunta alla fine del corridoio si girò per un attimo prima di scomparire dietro una parete che non sapevo ci fosse.
Arrivai dalla mia compagna piuttosto agitata e raccontai subito cosa era successo.
La cantante accennò a una suora che viveva nelle soffitte perché afflitta da una malattia che le impediva di stare con le consorelle ma poi troncò il discorso. Nel frattempo, infatti, erano arrivate le altre due partecipanti e iniziammo la seduta.
Io non riuscivo a togliermi dalla testa la suora alta e smilza e – così disse la cantante – rischiai di mandare a monte tutto perché creavo “interferenze”.
Al quarto tentativo il piattino incominciò a muoversi. Si prova una sensazione strana a sentirlo scorrere sotto le dita, quasi di allegria, tuttavia io non volevo chiedere niente, anche se – sempre a detta della cantante – con me a interrogare si canalizzava meglio. Lo spirito rispose a tre sole domande e poi ci salutò. Ritornammo nelle nostre stanze, lasciando sola la cantante.

Un paio di giorni dopo la seduta, quando la quasi totalità delle ragazze era ritornata a casa per il fine settimana e io e mia sorella, che invece eravamo lì in pianta stabile, stavamo salendo in camera a dormire, mi sembrò di vedere il lembo di una veste nera passare dietro l’angolo del nostro corridoio.
Non dissi nulla per non spaventare la piccola. Mezz’ora dopo, però, mentre eravamo a letto e avevo appena spento la luce sentimmo grattare alla porta della camera.
Mia sorella accese la lampada e stava per piangere perché sapeva che oltre a noi due, in quel corridoio, non c’era nessuno. Il raspare continuò a intervalli di due, tre secondi anche quando, per rassicurarla, fui con la mano sulla maniglia e aprii la porta di scatto.
Non vidi nulla, fuori, se non il buio.

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