L’11 dicembre 2015 mi capitò di fare un giro “involontario” nel “regno dei morti”.
La storia è questa: ero andata a trovare mio papà al polo cardiologico dell’Ospedale di Cattinara di Trieste. Terminata la visita, mi diressi al parcheggio principale davanti all’ospedale, dove avevo lasciato la macchina. Sbagliai percorso e invece di attraversare la biblioteca di medicina mi ritrovai all’esterno, in un parcheggio sotto il piazzale interno.
Erano passate le otto di sera, era buio e faceva freddo. Stavo per ritornare indietro quando vidi una donna bionda scendere da una scala nel parcheggio e decisi di chiederle come raggiungere la biblioteca.
Non serve” mi rispose la sconosciuta, molto somigliante a me, “Venga, le mostro la strada”. La seguii verso il muro in fondo al parcheggio e mi trovai davanti a una porta che non avevo visto.
“Ecco, passi da qui” disse la donna mentre entravamo in quello che, al momento, mi sembrò un vano caldaia. “Vede la scala? Salga al corridoio e poi, mi raccomando, vada sempre dritto.” Detto questo mi sorrise e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Mi sentivo un po’ inquieta, tuttavia presi la scala pensando di trovarmi in una specie di magazzino. C’era un odore strano, dolciastro, piuttosto inusuale per un disinfettante. Alla sommità della scala si vedeva una luce e, infatti, mi ritrovai in un corridoio illuminato da lampade al neon. I miei passi risuonavano sordi sul pavimento grigio e il posto aveva tutta l’aria di essere deserto.

Superata la prima curva, il corridoio continuava identico e lunghissimo. Notai un carrello di metallo addossato alla parete. Mentre mi chiedevo se fosse un portavivande sentii una ventata di aria gelida provenire da destra.
Che diavolo… Non poteva esserci una finestra, pensai. Mi voltai e lessi il cartello: SALA SETTORIA.
“Oh cazzo”. L’esclamazione mi uscì a voce alta. Arretrai di due passi. Mi resi conto che il corridoio si biforcava e che, se ormai sapevo dove mi trovavo, non sapevo quale direzione prendere. Mentre tentavo di mantenere la calma mi tornò in mente quello che aveva detto la mia sosia: “Vada sempre dritto”.
“Ok. Allora a sinistra”. Parlavo da sola per darmi un po’ di coraggio. Controllai di avere il telefono sufficientemente carico. Erano quasi le nove, stavo attraversando un obitorio sotterraneo completamente deserto e, se le luci si fossero spente, il giorno dopo mi avrebbero trovato stecchita.
Presi a camminare a passo spedito. Sotto non c’era campo e mi veniva da ridere anche se non mi stavo divertendo per niente. Il silenzio era totale ma, mi dicevo, era un buon segno. Sarebbe stato peggio sentire un rumore. Proseguii evitando di guardarmi alle spalle perché il freddo adesso arrivava da dietro.
Fu un tragitto interminabile. Quando vidi i cartelli che segnalavano MENSA AZIENDALE e, nella stessa direzione, ANATOMIA PATOLOGICA, capii che ero prossima all’uscita.
Non vi dico la faccia che fecero i due infermieri che mi videro sbucare dalla scala che dall’obitorio sale al piano ascensori alla base della torre chirurgica.
“Sono viva. Sono viva.” dissi. Poi dovetti spiegare come erano andate le cose, ma quando raccontai agli infermieri che probabilmente era stata una loro collega che smontava turno a farmi fare quel viaggetto, si guardarono perplessi. Dissi che era una che mi assomigliava molto, praticamente una sosia. Si misero a ridere e andarono velocemente agli ascensori.