Itinerario 4: i fantasmi di Cittavecchia

Trieste è la città perfetta per un giro nel mistero: che lo debba alla sua lunga tradizione massonica, allo spiritismo che qui attecchì e fiorì o alla sua bellezza, davvero capace di stregare, da Cittavecchia ai Castelli di San Giusto, Miramare e Duino, fino ai remoti boschi del Carso, è tutto un susseguirsi di case infestate, bizzarre apparizioni e culti che si perdono nella notte dei tempi, spesso avvolti in una nube sulfurea.

D’altra parte, non è un caso che la nostra città sia, insieme a Praga, Londra, Lione, Venezia e Torino, una delle capitali europee dell’occulto

Questo itinerario dura 2 ore e può essere seguito comodamente a piedi. Inoltre, la zona è piena di locali di buon livello: alla fine del giro potreste fermarvi in zona a mangiare e bere qualcosa.

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ITINERARIO FANTASMI DI CITTAVECCHIA 

  • Tappa #1: La sartina di Cavana e la veste della giovane morta  
  • Tappa #2: Le processioni notturne da “Rena vecia” a San Giusto  
  • Tappa #3: Gli spiriti inquieti di Rotonda Pancera
  • Tappa #4: La Dama Nera di Piazzetta Santa Lucia

#1 – La sartina di Cavana e la veste delle giovane morta

Piazza di Cavana era il centro della Trieste popolare ed è tutt’ora il cuore della Città Vecchia. Nelle viuzze alle sue spalle vivevano artigiani, bottegai, marinai e la piazza pullulava di colori e cadenze da tutto il levante.

La prima storia di fantasmi ha come protagonista una giovane sarta, Ninetta, che per scommessa rubò un lembo della veste di una morta.

Erano passate le otto di sera quando Ninetta si inerpicò sul colle di San Giusto e si intrufolò nella cappella mortuaria che si trovava accanto al Cimitero: sul catafalco era adagiata la salma di una ragazza sua coetanea.

La sarta si avvicinò lentamente, con il cuore che batteva all’impazzata. La fanciulla morta era bellissima e riccamente abbigliata.

– Non ti offendere madamigella – sussurrò – ma ho fatto una scommessa e questo bel vestito, ormai, a che ti serve? Ne prendo solo un pezzetto. Non se ne accorgerà nessuno – Ninetta tirò fuori le forbici dalla tasca della gonna, tagliò un lembo della veste della morta e corse a casa.

Si coricò che erano quasi le undici ma a mezzanotte fu svegliata dallo scricchiolio della porta che si apriva.

La sarta rimase pietrificata: sulla soglia, con espressione corrucciata, c’era la ragazza che aveva visto a San Giusto!

La morta entrò come se scivolasse sul pavimento della stanza. Rimproverò Ninetta per il suo gesto e le ordinò di ricucire il pezzo di stoffa dove mancava.

Tremante di paura, la sartina obbedì. Prese il lembo dalla scatola nella quale lo aveva riposto, infilò l’ago e incominciò a cucire. Appena ebbe terminato l’ultimo punto, il fantasma scomparve.

L’indomani mattina, una cliente che era venuta a ritirare della biancheria da rammendare trovò Ninetta ancora in camicia da notte, distesa per terra, mentre con sguardo folle agitava in aria ago e filo.

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Piazza Cavana, Trieste – © Lisa Deiuri 2020

#2 – Le processioni notturne da Rena “vecia” a San Giusto

Intorno alla chiesa di Santa Maria Maggiore, detta “i Gesuiti” (della quale parleremo in un itinerario dedicato) si estendeva il sobborgo popolare di “Rena vecia” (“Arena vecchia”), il cui nome deriva probabilmente dalla vicinanza con l’antico Teatro Romano.

Qui, proprio dietro ai Gesuiti, in direzione Piazzetta Barbacan, si trova ancora oggi una via strettissima, già famosa un paio di secoli fa per non essere la quintessenza della pulizia: la via dei Colombi, infestata dai noti volatili, che “bombardavano” continuamente la zona.

Ebbene, in via dei Colombi abitava una famiglia di tre persone, madre, padre e un figlio di nome Antonio. La madre, donna devota, iniziava sempre la sua giornata con la prima messa a San Giusto.

Una mattina la donna si svegliò in anticipo e, credendo fosse già l’ora di uscire, si incamminò verso la cattedrale; percorso un tratto di strada, incrociò una processione che saliva verso San Giusto passando vicino al vecchio manicomio. Tutti i partecipanti tenevano una candela in mano.

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Il percorso fatto dalla donna partendo da casa fino alla Cattedrale di San Giusto

La donna si avvicinò all’ultimo della fila, il quale le diede la sua candela. Giunto davanti alla chiesa, il corteo si disperse e la donna si accorse che l’orologio del campanile batteva appena le quattro. Tornò a casa e quando il figlio si fu svegliato, gli raccontò dell’accaduto.

Poiché sia Antonio che suo padre non volevano saperne di eventi soprannaturali, il ragazzo le rispose che probabilmente si era sognata tutto.

La donna, contrariata dall’incredulità del figlio, disse che poteva provare quanto aveva visto e andò ad aprire l’armadio dove aveva messo la candela che, nel frattempo, era diventata un osso di morto!

Terrorizzata, la donna corse dal rettore dei Gesuiti, il quale le consigliò di cercare di incontrare di nuovo la processione e restituire l’osso a colui dal quale aveva ricevuto la candela.

L’indomani mattina la poveretta fece quanto le era stato detto, quindi rincasò, si distese a letto e morì.

Passarono alcuni anni e Antonio e il padre parteciparono alla veglia funebre di un conoscente. Per evitare di addormentarsi, si misero a giocare con gli altri partecipanti al gioco dell’anello: chi perdeva, pagava pegno.

Il vedovo dovette andare a prendere la lampada nella Cappella mortuaria di San Michele del Carnale, la chiesetta accanto a San Giusto che veniva usata come obitorio e ossario.

Nella Cappella c’erano sette morti nelle bare. L’uomo afferrò il lume e si allontanò rapidamente ma, quando iniziò a scendere lungo la ripida via della Cattedrale, un sacco che stava sotto uno degli alberi, incominciò a saltellare.

All’inseguimento del vedovo si aggiunsero altri sei sacchi e all’uomo non restò che lanciarsi a rotta di collo fino a casa dove, sconvolto dalla paura, raccontò al figlio di essere stato inseguito dai sette morti perché, avendo rubato loro la lampada, li aveva condannati al buio eterno.

Come era accaduto alla madre dopo lo strano incontro, anche il padre di Antonio morì, non prima, però, di aver supplicato il figlio di pregare per la sua anima incredula.

Antonio, allora, capì che si era sbagliato a prendersi gioco di certe cose e diventò devoto. Si dice che costruì un altare per le orazioni nel retrobottega e per sette anni fu visto girare per Trieste in veste di penitente.


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Rotonda Pancera © Lisa Deiuri 2020

#3 – Gli spiriti inquieti di Rotonda Pancera

Da San Giusto scendiamo ripercorrendo un tratto di via della Cattedrale e prendiamo l’entrata superiore del Giardino di San Michele in modo da arrivare nella via omonima. Continuiamo in discesa fino all’imbocco di via Felice Venezian, all’altezza di Piazzetta Barbacan (teatro di un’altra storia di fantasmi che ha più il sapore di una leggenda metropolitana e che ho raccontato qui).

All’incrocio fra via Venezian e via della Rotonda ecco stagliarsi la singolare residenza del fu Domenico de Pancera, una costruzione in stile neoclassico progettata agli inizi dell’Ottocento da Matteo Pertsch e ispirata alla famosa Villa Palladiana di Vicenza.

Ex tempio massonico (non da tutte le fonti confermato, però) la Rotonda Pancera rientra nel novero delle dimore infestate in quanto appartenute e frequentate da confratelli e delle quali parleremo estesamente in un itinerario dedicato.

Perché le case dei massoni erano, secondo la vox populi, abitate da fantasmi? Perché a più riprese e, soprattutto, dopo la Rivoluzione Francese, i detrattori dell’Ordine (fra i quali il Papa, che li aveva scomunicati, gli ex-Gesuiti e i rappresentanti laici delle forze conservatrici) avevano fatto una massiccia campagna di demonizzazione, mettendo in giro la voce che le loro assemblee fossero cerimonie diaboliche.

Avendo venduto l’anima al diavolo, quindi, un massone dopo morto era condannato a ritornare come fantasma e a infestare la casa nella quale si erano tenute le riunioni.

Nel caso della Rotonda Pancera, poi, interviene a rafforzare l’ipotesi che si trattasse di un tempio massonico il fatto che nei bassorilievi esterni si trovano squadra, compasso e livella e che il suo sotterraneo a forma circolare ospita delle nicchie nelle quali potevano sedersi i partecipanti e un piano rialzato con gradino, sul quale verosimilmente era assiso il Gran Maestro.

Come se non bastasse, a lungo rimase accesa la diceria popolare secondo cui dal sotterraneo si dipartiva una fitta rete di cunicoli segreti che collegavano la Rotonda alla Chiesa di Santa Maria Maggiore e al Castello di San Giusto.


#4 – La Dama Nera di Piazzetta Santa Lucia

Concludiamo questo itinerario cittadino scendendo lungo la via Madonna del Mare verso Piazzetta Santa Lucia, che si trova dietro a Piazza Hortis e alla Chiesa della Beata Vergine del Soccorso (nota anche come Sant’Antonio Vecchio).

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Molto tempo fa, scrive il Generini nel suo Trieste Antica e Moderna

Tra la via SS. Martiri e quella di S. Lucia trovavasi il convento e la chiesa dei PP: Benedettini, che vi posero stanza il 1115, rimanendovi sino al 1736, cioè pel corso di oltre sei secoli. (…) Molto probabilmente in occasione di ristauro ed ingrandimento, la detta chiesa veniva consacrata nel 1224 da Gerardo, Vescovo di Cittanova e vicario del Patriarca di Aquileja. È in tal epoca che quei monaci devono aver ricostruito il convento (…). Ristaurata e ingrandita un’altra volta nel 1559, già nel 1564 Tullio Calò, ricco gentiluomo della terra di Bari, presa stabile dimora in Trieste, vi erigeva tomba alla diletta consorte (…).

Il 24 maggio 1736 l’Imperatore Carlo VI comperava dai Monaci Benedettini la chiesa e il convento dei SS. Martiri (…). L’Imperatrice Maria Teresa successa al padre nel trono, donava gran parte di questi terreni al consigliere di governo Pasquale barone de Ricci, patrizio triestino, che tosto vicino alla chiesa vi costruiva una casa d’abitazione, cangiando così l’antico aspetto di quel luogo.

La leggenda, riportata da Dario Spada in Italia Misteriosa narra che proprio in questo posto, “in un palazzo che prima era stato un convento” si erano registrate le apparizioni di una “Dama Nera”.

Un’inquilina dello stabile diceva che una bellissima donna vestita di nero con un grande colletto bianco entrava nella sua camera da letto e restava inginocchiata a pregare finché  le campane di Sant’Antonio Vecchio non suonavano l’Ave Maria.

Quando, qualche anno dopo, furono fatti dei lavori di restauro della zona, durante gli scavi gli operai trovarono uno scheletro. Fu data degna sepoltura alle ossa e le apparizioni cessarono.


Riferimenti bibliografici

  • Anton von Mailly, Leggende del Friuli e delle Alpi Giulie (I ed. 1922)
  • Enrico Rosamani, Folklore triestino e istriano, in La Porta Orientale, 1948
  • Gianni Pinguentini, Folklore triestino, in Folklore, 1953
  • Forum http://atrieste.eu
  • Dario Spada, Italia Misteriosa, Armenia, Milano, 2000
  • Silvio Rutteri, Trieste. Spunti dal suo passato, Borsatti Editore, Trieste, 1951
  • Ettore Generini, Trieste antica e moderna, Editrice Morterra, Trieste, 1884

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5 commenti

    • Ciao Silvia! In effetti è vero, Trieste e la sua provincia (ma anche tutta la regione FVG) non sono grandissime… Eppure, forse perché siamo storicamente crocevia di più culture, da noi ogni angolo trasuda mistero 🙂 Da qui è passato e continua a passare un po’ di tutto…

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