Il Mani: guerrieri, pirati e… vampiri

Il viaggio nel Peloponneso incominciò a Kithira, l’isola che secondo la leggenda diede i natali nientemeno che a Afrodite. Dopo qualche giorno sbarcai a Githio, nel Peloponneso, con l’intenzione di raggiungere Sparta e poi spostarmi in Messenia per ridiscendere nel Mani.

 

Era settembre inoltrato e la Grecia continentale, così diversa da quella insulare, mi avrebbe regalato una temperatura più che accettabile per esplorare, seguendo un po’ le orme di Patrick Leigh Fermor, territori remoti e selvaggi.

Tralasciando la città-simbolo dell’antichità guerriera – della quale rimangono un paio di rovine e poco altro – e la stessa Githio, vi racconterò, perciò, del Mani, così come lo percorsi, scendendo da Kardamyli lungo la costa ovest, passando per Areopoli, fino a quello che – all’epoca – era il capolinea dell’autobus, Gerolimenas, da dove si poteva proseguire solo in macchina o a piedi.

Il Taigeto: il “Monte Fato” di Laconia

Come il Taigeto dell’entroterra divide la pianura messenica dalla laconica, il suo proseguimento, il Mani immerso nel mare, divide l’Egeo dallo Ionio, e il suo capo selvaggio, il Tenaro (Capo Matapan), l’ingresso dell’Ade degli antichi, è il punto più meridionale della Grecia continentale.

(Patrick Leigh Fermor, “Mani. Viaggi nel Peloponneso”)

Peloponneso_02In effetti, per chi ha letto il libro di Tolkien o visto i film de “Il Signore degli Anelli”, quando si entra in Laconia dalla Messenia si ha l’impressione di passare da “la Contea” degli Hobbit alle lande desolate di Mordor.

La vista satellitare rende bene l’idea di cosa sia il Mani: mentre da Kalamata, a ovest del Taigeto e della sua cima più alta (Profitis Ilias), si stende la verde pianura messenica, che prosegue fino a Navarino e alla bella spiaggia di Voidokilia, a sud-est si profilano le aspre montagne che segnano tutta la stretta penisola maniota fino all’estrema punta di Capo Matapan.

Il paesaggio cambia radicalmente: la fanno da padroni i pendii a picco sul mare e i villaggi turriti, arroccati su alture scoscese, intorno alle quali si aprono altopiani lunari, che furono teatro di guerre e sanguinose vendette.

Dytiki Mani e Anatoliki Mani: Kardamyli e Areopoli

Il primo insediamento umano che si incontra nell’estremo sud della Messenia è Kardamyli, il villaggio nel quale visse Fermor e dove, in un posto segreto, sono state disperse le ceneri del suo amico, altro famoso viaggiatore-scrittore, Bruce Chatwin.

Scrive Fermor in “Mani” a proposito di Kardamyli:

Era un borgo diverso da tutti quelli che avevo visto in Grecia. Le case, simili a castelletti di pietra dorata, con torrette a pepaiola d’aspetto medievale, erano sovrastate da una bella chiesa. I monti precipitavano fin quasi a bordo dell’acqua, con qua e là, tra le case imbiancate a calce dei pescatori vicino al mare, grandi canneti fruscianti (…).

Forse per la grande quiete nella quale era immersa, fatto sta che Kardamyli, con i suoi cipressi che preannunciano le porte dell’Ade che, secondo la leggenda, si trovano ora presso le grotte di Diros, ora presso il finis terrae di Capo Matapan, mi rievocò il famoso dipinto di Böcklin, “L’isola dei morti”.

Arnold_Böcklin_-_Die_Toteninsel_V_(Museum_der_bildenden_Künste_Leipzig)
Arnold Böcklin, Die Toteninsel – Quinta versione – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=147928

Dopo un paio di giorni lunghi come un incantesimo mi spostai da Kardamyli a Areopoli, il cui nome significa “Città di Ares” e che fu il centro dal quale, nel 1821, Petrobey (Petros Mavromichalis) diede inizio alla Guerra di Indipendenza greca.

Se è vero, infatti, che gli Ottomani riuscirono a stabilirvi un bey (capo militare e amministrativo alle dipendenze dell’Impero Turco), è anche vero che l’aristocrazia locale, discendente dei nikliani costruttori di torri del periodo bizantino, oltre a praticare la pirateria, il brigantaggio e la faida fra famiglie, non smise mai di combattere per la libertà.

Folklore maniota: streghe, vampiri e lupi mannari

Terra fieramente indipendentista e scarsamente propensa ad assoggettarsi a qualunque potenza straniera, la Maina laconica è anche uno dei territori dove, rispetto al resto del Peloponneso, gli antichi culti pagani cedettero per ultimi il passo al Cristianesimo, senza mai scomparire del tutto.

Che sia per la tardiva conversione alla religione della croce, favorita anche dall’inaccessibilità dei luoghi, o per il forte attaccamento di quelle genti alle antiche tradizioni, il folklore maniota permane ricco di credenze e superstizioni.

Il Mani, infatti, per chi come me è appassionato di storie “nere”, è una sorta di miniera in cui, senza dover nemmeno troppo scavare, si possono trovare le vene (è il caso di dirlo!) dalle quali incominciò a sgorgare e diffondersi come un’epidemia, in tutta l’Europa Balcanica, il mito dei succhiasangue.

vrykolakas

Le storie di vampiri (i vrykolakes) qui si sprecano, anche se si tratta di cadaveri rianimati che assomigliano più agli zombie che ai dandies ottocenteschi della letteratura e, per giunta, almeno originariamente, non succhiano sangue ma disturbano – solitamente i parenti – con calci, pugni e colpi nei muri o rubano il latte e la farina dalla madia.

Peloponneso_07
Il Taigeto, l’impervia catena montuosa del Mani, visto dalla Messenia

Ma non solo: si narra che sui monti del Taigeto, famigerati fin dai tempi di Sparta, quando erano sede di oscuri oracoli e turpi uccisioni di infanti, si aggirino ninfe, centauri, streghe rapaci e uomini-lupo, questi ultimi possibili riminescenze dei feroci Melingoi (o Melig, come riportato da Fermor), una tribù slava che era scesa nel Peloponneso, viveva di brigantaggio e nella “Cronaca della Morea” veniva spesso citata e descritta come un abominio:

Predoni vaganti per i monti, vivevano di saccheggio; “guidati dal diavolo, entrano nelle case di notte come lupi… demoni miserabili e malvagi, assassini assetati di sangue, i loro piedi li conducono perpetuamente al male…”. (“Mani”, pg. 67)

Del resto, il Mani è sempre stato una terra desolata, di aspra e violenta bellezza. Un luogo nel quale la sopravvivenza non fu mai scontata.

E qui, tutt’oggi, vive una stirpe da secoli in confidenza con la lancia, la spada, il sangue, la morte e un suo possibile esito: la vita eterna.


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